di Luigi Asero
“Un giorno nuovo”. Con questa espressione il presidente americano Barack Obama ha salutato il suo arrivo a Cuba dopo mezzo secolo di assenza di rapporti (almeno ufficiali) fra L’Avana e Washington. Certamente un grande risultato per il presidente USA che in meno di un anno ha incassato la fine della crisi nei rapporti con l’Iran e il rientro dell’isola caraibica di Cuba. Si tratta della prima visita dopo la rottura delle relazioni diplomatiche di 57 anni fa e la seconda dopo quella del presidente americano Calvin Coolidge nel 1928.
Secondo il presidente americano “il futuro di Cuba non viene deciso dagli Usa o da altre nazioni. Cuba è un Paese sovrano e il suo destino lo decideranno i cubani e nessun altro” impegnandosi a “lanciare appelli al Congresso affinché elimini l’embargo”. Per far ciò sarà importante il dialogo che affronteranno insieme, negli anni futuri, Cuba e Usa sul rispetto dei diritti umani. Ma è proprio su questo tema che il leader cubano Raul Castro punta il dito, invitando a non politicizzare i diritti umani e sottolineando come “nessuno Stato al mondo li rispetti interamente”. E come in termini numerici, Cuba ne rispetti 47 dei 61 individuati a livello internazionale.
Certamente la visita del presidente USA determina una svolta epocale nei rapporti bilaterali e simboleggia la possibilità di un nuovo mondo per tutta l’umanità. Essenziale il lavoro della diplomazia per arrivare a questo risultato, ma non meno la caparbietà dello stesso presidente statunitense ormai a fine mandato ma, forse proprio per questo, desideroso di “incassare” i migliori risultati possibili. E si sa, che per l’egemonia statunitense, i risultati che più contano sono quelli in politica internazionale.
Bello il discorso iniziale, laddove Obama specifica a chiare lettere che il destino di Cuba “devono deciderlo i cubani e nessun altro” sottolineando la volontà USA di non interferire nella politica interna di un Paese sovrano.
Da siciliani più o meno attenti ci chiediamo però se non si possa parlare di “due pesi e due misure” nella misura in cui proprio nel nostro territorio (quello siculo) si conta un’ampia dislocazione di installazioni militari in “deroga” (da chi e quando concessa?) del Trattato di Pace di Parigi del 1947. In base a quel Trattato non era infatti possibile costruire installazioni militari (italiane o straniere) in Sicilia e Sardegna. Così non è stato, e di fronte alla continua crisi dell’area mediterranea e del Medio Oriente la Sicilia è da considerarsi “target” principale di atti ostili. Che siano di guerra convenzionale o che siano di guerra alternativa (leggi terrorismo di matrice jihadista).
Perché per qualcuno c’è “un giorno nuovo” mentre per i siciliani (nel completo disinteresse delle autorità politiche locali e nazionali) è sempre e soltanto “un nuovo giorno”, sempre uguale? Sempre identico? A quando la possibilità di decidere in Sicilia del futuro dei siciliani?